Il castello interiore

Edith Stein era una filosofa ebrea, atea fin dalla sua adolescenza ma in continua ricerca della verità. Edith conosceva molto bene la comunità religiosa ebraica ed essendo tedesca anche quella protestante (sono comunità che si riuniscono nei luoghi di culto durante delle cerimonie). Un giorno, mentre passeggiava vide una signora che con una cesta della spesa si recò in una chiesa cattolica per pregare. Ciò che colpì Edith fu il fatto che in quel momento non c'era nessuna funzione religiosa, la donna era entrata per avere un momento intimo con Dio. Questo episodio segnò l'inizio della conversione al cattolicesimo di Edith Stein. Quello che la spinse a battezzarsi però fu la lettura dell'autobiografia di santa Teresa d'Avila. La lesse in una sola notte e quando chiuse il libro disse: «questa è la verità».


Da filosofa qual era scrisse diverse opere, noi ci soffermeremo in particolare su uno dei suoi scritti: "il castello interiore" dove la Stein descive l'interiorità dell'uomo come un castello con sette stanze. È come se il corpo fosse la cinta muraria di questo castello. L'anima si trova fuori e per raggiungere il Tesoro deve attraversare tutte le stanze. Solo quando arriva a quella centrale: la settima, potrà essere finalmente felice. 

Durante gli anni della seconda guerra mondiale, Edith Stein entra nell'ordine delle suore delle carmelitane scalze, sarà poi deportata ad Auschwitz dove morirà il 9 agosto del 1942. 
 

Le sette stanze:

«la prima stanza in cui si entra attraverso la porta è l’autocoscienza. Non si possono alzare gli occhi a Dio senza divenire consapevoli della propria piccolezza. La conoscenza di Dio e la conoscenza di se si sostengono a vicenda. Mediante l’autocoscienza ci si avvicina a Dio. Potremmo conoscere la nostra povertà con la meditazione della sua grandezza, il nostro essere lontani dalle virtù se meditiamo sulla sua umiltà. Nella prima stanza l’anima è molto lontana da Dio essa non può vedere la luce a causa delle molte cose cattive: serpenti, vipere e altri animali velenosi. L’anima è talmente incastrata nelle cose di questo mondo che quando pensa alla propria identità crede che essa sia una di quelle cose che la tengono legata». 

Cosa sono quei animali selvatici di cui parla Edith Stein? Sono quelle frasi che ci feriscono profondamente: "non vali abbastanza", "non sei bravo/a", "mi hai deluso, non mi fido più di te", "sei un buono a nulla". Queste frasi fanno male e ci portano a credere che sia proprio così. Gli animali selvatici possono essere anche i nostri errori o le nostre azioni superficiali che facciamo per farci vedere "fichi" ma che nascondono la nostra insoddisfazione e sofferenza. Questi errori e queste superficialità finiscono per essere la nostra anormalità e alla fine ci accontentiamo di essere così mediocri. Tutto questo costituisce per noi come una prigione che ci impedisce di  essere veramente ciò che siamo e di camminare verso la felicità. 

DOMANDA: Quali sono le cose che ti impediscono di essere pienamente te stesso e di camminare verso la felicità?

Seconda stanza: A differenza della prima, la seconda stanza è caratterizzata dal fatto che qui l’anima percepisce già certi richiami di Dio. Per richiami, si devono intendere quegli appelli di Dio che entrano in lei dall’esterno, come le parole di un’omelia, le frasi di una canzone, i passi di un libro che sembrano scritti proprio per lei, le malattie, i consigli di una persona fidata o altri inviti. L’anima vive ancora con e nel mondo, ma questi richiami premono nel suo intimo e la invitano ad entrare. 

Questi richiami ci aiutano a liberarci dalla superficialità, dagli errori e dalle parole cattive della prima stanza. I richiami sono dei mezzi che ci liberano da queste cose negative. Ognuno ha i sui mezzi, perché ciascuno di noi è unico e irripetibile. Non esiste quindi un unico mezzo, ma quello adatto a te. 

DOMANDA: Secondo te, quali sono i mezzi che possono condurti alla felicità?

Nella terza stanza, troviamo le consolazioni: quando facciamo una buona azione, ci sentiamo felici, ci commuoviamo pregando o vedendo un bel gesto, ci pentiamo del male fatto. 

Le consolazioni di cui ci parla Edith Stein nascono da azioni esterne ma che si ripercuotono dentro di noi. Ad esempio aiutando una persona in difficoltà, nasce nel nostro cuore una certa gioia, oppure, quando sono triste, abbraccio quella persona di cui mi fido, gli parlo e questo genera in me una certa pace o ancora, ascolto una frase di una persona e mi sembra di aver compreso qualcosa di me che non riuscivo a capire o infine, commetto un errore ma poi mi pento e non mi dico che faccio schifo, ma che con quell'azione ho imparato qualcosa per cui la prossima volta sarò migliore.

ESERCIZIO: fai memoria di quando ti sei sentito/a consolato/a da qualcuno, di quando hai provato gioia o pace nel tuo cuore grazie a una situazione. 

Nella quarta stanza troviamo la quiete, la pace e la tenerezza che non sono suscitate da azioni o cose di questo mondo, ma vengono direttamente da Dio. 

Se nella terza stanza trovavamo la gioia e la pace che venivano suscitate da un'azione esterna, qui ci ritroviamo le stesse cose ma senza che esse siano suscitate da nessun gesto. Ad un certo punto ci stimiamo, ci sentiamo in pace con noi stessi, è come se Qualcuno ci abbia preso in braccio e ci abbia detto che siamo amabili. 

DOMANDA: ho stima di me stesso? Ho mai sentito dentro di me un'amore inspiegabile che però ci fa essere sereni?

Nella quinta stanza, l’anima fa esperienza di Dio. Essa non vede mai questo mistero quando esso si verifica, ma dopo ella riconosce chiaramente questa verità. Ella non può vedere Dio, ma subito dopo gli rimane quella gioia che solo Dio può dare. 

Nessuno ha mai visto Dio, eppure se ne può fare esperienza, di Dio possiamo vedere gli effetti del suo passaggio. Ad esempio guardando indietro il nostro passato ci rendiamo conto di essere stati condotti verso una strada inaspettata. Mettiamo ad esempio che stiamo vivendo un brutto momento e proprio lì in modo inaspettato qualcosa cambia e riusciamo ad uscire dal vortice. Dio è lì che cammina con noi, che, come per gli ebrei davanti al Mar Rosso, apre le acque per noi. Le sue orme sono invisibili eppure possiamo percepirle e questo produce in noi una grande gioia. 

DOMANDA: Hai mai sperimentato la presenza di Dio nella tua vita? Quando? Se no, ti piacerebbe sperimentarlo?

Nella sesta stanza troviamo il desiderio di Dio, la brama di felicità. 

Qualcuno ha detto che il vero desiderio non si potrà mai raggiungere, perché il desiderio ha una natura infinita, ma noi siamo immersi in cose finite che non potranno mai appagarlo. Ad esempio andiamo alla ricerca dell'ultimo modello di cellulare perché questo provoca in noi una soddisfazione. Tuttavia dopo poco tempo quell'oggetto non ci appaga più e tendiamo verso il nuovo modello. Cerchiamo di raggiungere un obiettivo o di superare la tappa di un gioco e subito dopo ci affanniamo per conquistare l'obiettivo o la tappa successiva. Ciò è bello e anche giusto ma ci conduce verso un movimento infinito. Edith Stein invece crede che il desiderio sia raggiungibile, il perché lo vedremo nella settima stanza.

DOMANDA: Cos'è il desiderio? Tu, cosa desideri?

Finalmente nella settima stanza, l’anima può unirsi a Dio, essa si immerge nella luce, quella luce che da quando l’anima girovagava fuori dal castello l’attirava dentro di se. 

È solo nell'ultima stanza che l'anima si sente finalmente felice e amata e se il desiderio consiste nel possedere quello che ci rende felice, allora qui è pienamente realizzato. Per Edith Stein quindi desiderare è possibile e se per essere appagato l'uomo ha bisogno di qualcosa di infinito, è qui che l'anima si unisce all'Infinito che è Dio stesso. È un'esperienza unica nel suo genere e chissà se la vivremo mai, certo è che tutti tendiamo a questa condizione.

Sant’Agostino così parla di Dio dopo averlo trovato: 
«Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace». 

DOMANDA: Desiderare non sigifica fare ciò che si vuole, ma ciò che ci rende felici. È possibile per te un tale desiderio? Cos'è la felicità?




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